Concorso Leterario PREMIO RAìSE - Arquà Polèsine - 2010

EMIGRATI CHE RITORNANO IN PROSA E POESIA

 

 

L'emigrazione - lo sapevate? - non finisce mai.

Prima si vendeva tutto, con il cuore a pezzi per i rimorsi e il rimpianto,

poi si partiva per paesi lontani e infiniti, dove, finalmente, i figli dei figli,

dopo tanta fatica trovavano una patria meno sorda e meno ingrata.

 

Oggi, che tocca ad altri (ma noi non sappiamo più capire e nemmeno accogliere),

quei nipoti lontani e perduti vogliono ritrovare le radici strappate

nel giro di quasi un secolo e mezzo,

vogliono sapere,

conoscere,

spingere lo sguardo indietro nel tempo e nelle geografie capricciose

dove si perdono paesini e casupole,

illusori paradisi sopravvissuti alla miseria e all'abbandono.

 

I nipoti tornano e lo fanno con lettere e richieste ai comuni di provenienza,

dove poco o niente ci si ricorda di loro.

Ma hanno bisogno di risposte per continuare ad esistere:

l'identità si costruisce anche mettendo insieme i frammenti di un passato perduto,

nomi e persone,

cose e storie.

 

C'è, però, una strada che arriva diritta al cuore di quel passato,

ricostruendo, pezzo a pezzo, i ricordi tremolanti di quei nonni sradicati dalla loro identità, ritrovando, come in sogno, i paesi perduti e rimpianti.

Insomma, si torna indietro, ma in poesia e talora anche in prosa,

con un dialetto fallibile, ma tanto autentico, perché parla la lingua del cuore e della memoria.

 

Il rischio è che queste poesie e queste storie si disperdano chissà dove,

come già gli uomini e le donne che un brutto giorno hanno lasciato casa e paese

per andare oltre i mari,

là dove non arrivano gli uccelli e i venti di casa nostra.

Queste poesie e queste storie hanno bisogno di una casa tutta per loro,

con orecchie disposte all'ascolto,

occhi che sanno immaginare e prolungare i racconti,

memorie sollecite

e solidarietà umana che diventa affetto.

 

Questa casa è proprio il Premio Raise,

che in questi anni più recenti ha aperto le porte a tanti poeti e narratori

che scrivono da un altrove che, per più di un verso, ci assomiglia.

 

Sedici autori, di varia età ed estrazione, ma anche provenienza,

hanno inviato alla segreteria del premio versi e racconti.

Se, un tempo, questi versi e questi racconti si assomigliavano, oggi hanno il pregio di una genuina autonomia ispirativa e perfino di una giusta ambizione espressiva.

Ed è incredibile e commovente come questi autori sappiano far tesoro

di un linguaggio pieno delle crepe e delle trafitture dell'oblio,

un dialetto che si è miracolosamente conservato, ma solamente come lingua orale.

Un modo di tornare indietro velocemente nei secoli,

quando l'analfabetismo strangolava la cultura e i sentimenti delle classi subalterne.

Solo che oggi si legge e si scrive.

E allora, quel dialetto, solamente parlato e limitato a pochi vocaboli,

come deve essere appunto la lingua della memoria,

trova una trascrizione approssimativa e perfino balbettante,

ma non per questo meno vera delle parole originarie.

Anzi, quelle poesie e quelle narrazioni

si costituiscono come reinvenzioni linguistiche ed espressive,

offrendo nuova linfa a un dialetto che ricacciato dalla porta si riaffaccia alle finestre.

 

Forse è presto per parlare di rinnovamento, ma è importante lasciare la chiave sulla porta,

come si faceva una volta,

fidandosi dei vicini e dei passanti,

perché chi entra in casa nostra deve essere sempre benvenuto,

soprattutto se parla e scrive una vecchia lingua con suoni e segni nuovi.

 

 

Sergio Garbato

 

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