Rieccoci allora al Valentin Minto.

                                           FIDO



Avevamo visto che Vaentin era un provetto cacciatore, dunque doveva avere anche un cane e, infatti, lo accompagnava nelle sue imprese venatorie un bellissimo esemplare di bracco italiano – di che razza era lo apprendo soltanto adesso consultando Wikipedia  - . Era un cane di una taglia medio grande, asciutto, con un mantello grigio punteggiato di macchie marroni, due orecchie lunghe e cadenti incorniciavano un muso con degli occhi tristi. Era proprio simile al padrone: di poche parole, verrebbe da dire, passava sempre al piccolo trotto senza mai guardare nessuno, né darvi retta se lo si chiamava. Non l’abbiamo mai visto nel suo ruolo ufficiale di cane da caccia, come non abbiamo mai visto il suo padrone impegnato in quest’attività alla quale evidentemente vi si dedicava in ore ante lucane.  Conoscevamo Fido – così, guarda caso, si chiamava il cane - in quanto impegnato in attività particolari che ora descriverò.
Bisogna prima di tutto dire che il Vaentin Minto abitava in una villetta alla periferia del paesotto – oggi, con l’espansione del paese, non si può più considerarla periferia  –, una villetta circondata da due lati da un alto muro e dagli altri due da una siepe impenetrabile. Mai visto nessuno muoversi al suo interno, né sapevamo se il Vaentin fosse sposato, se avesse figli, o altro, a parte il fratello Marco che lavorava con lui nella bottega. L’unico movimento che si notasse provenire dalla villetta era proprio il cane. Ogni giorno, verso le 11 del mattino, il cane usciva con in bocca una borsa, una sporta – così si diceva una volta – di paglia un po’ consunta, e al piccolo trotto si avviava verso la bottega del Vaentin che distava quasi un Kilometro. Evidentemente all’interno della borsa c’era un biglietto con il quale i famigliari del Vaentin richiedevano al congiunto di mandare a casa i generi alimentari necessari per quel giorno in famiglia. Una volta arrivato al negozio, mentre Marco riempiva la borsa, Vaentin bussava sul vetro di una finestra di un laboratorio artigiano di salumi che si affacciava sulla famosa corte/ambulatorio dentistico (a pensarci bene era una specie di “corte dei miracoli” per le caratteristiche delle persone le cui finestre qui vi si affacciavano) per farsi dare qualche avanzo di carne da dare come premio a Fido il quale ebbe così la fortuna di non conoscere mai i “croccantini”.  Poi, dopo una mezzoretta, il cane ritornava indietro, sempre al piccolo trotto e sempre senza mai guardare nessuno, per riportare a casa le vettovaglie. Sembrava conscio del suo importante incarico e forse per questo era così “riservato”.
Noi bambini, lo vedevamo praticamente ogni giorno perché passava in questa sua veste proprio attraversando il campetto in cui giocavamo a calcio; va notato che il campetto era l’area antistante la chiesa del paese.
Un giorno, nel suo viaggio di andata, Fido si lasciò attrarre dalle movenze burlesche rivoltegli da uno dei bambini – che chiameremo Bepi - e dalla sua offerta di uno strano oggetto, tanto che inaspettatamente si fermò evidentemente interessato.
Bisogna qui però descrivere un antefatto. Poco prima la palla era volata oltre un muretto e per andarla a riprendere bisognava scavalcare il cancello posto a chiusura di uno spazio privato sul quale  la SADE – così si chiamava allora la Società che produceva e distribuiva l’energia elettrica nel Veneto,  poi assorbita dalla neonata ENEL – aveva costruito una cabina elettrica. Per farne le fondamenta aveva ovviamente scavato il terreno sollevando tutta una serie di “rovinassi” che non aveva più rimosso e che ogni volta che si andava di là per recuperare la palla ci venivano fra i piedi.
Fido si era dunque fermato e i bambini approfittarono per avvicinarlo contenti di poterlo finalmente toccare: …«bravo Fido!»…, «bello Fido!»….. e intanto gli accarezzavano il bel pelo corto e morbido. Si dà il caso che il bambino che si era esibito nelle movenze burlesche poco prima avesse scavalcato il cancello per recuperare la palla portando poi con sé uno di questi “rovinassi”, che era poi quello che avrebbe esibito a Fido.
Questo bambino era un tipo piuttosto taciturno, spesso assente. Giocava con delle grosse scarpe di tutti i giorni, con la suola, almeno così si diceva una volta, “a carro armato”. Era questa una suola di gomma, piuttosto dura, tutta picchettata di spuntoni, pure di gomma, ed era considerata un po’ come la Mercedes del tempo perché piuttosto costosa, ma soprattutto di gran lunga durata e insuperabile nel camminare sulla neve, sul fango e attraversare larghe piscine come non di rado succedeva in quel tempo. Ma in queste circostanze il “carroarmato” veniva usato per scopi meno nobili perché il nostro amico, quando proprio non gli andava di essere aggirato o superato, lasciava partire, all’indirizzo del  malcapitato avversario, una improvvisa e secca pedata negli stinchi  e per questo era abbondantemente conosciuto tanto che qualche volta si trovava qualche scusa per evitare che giocasse . Probabilmente si trattava di un comportamento proprio eccezionale perché il nostro aveva un fratello  – più piccolo di noi -  ma che, giunto all’età adolescenziale, se ne andava in giro tutto solo, mai un amico, con gli occhi semichiusi e parlottando da solo frasi non proprio comprensibili. Ebbene non so cosa abbia fatto costui nel frattempo, ma negli anni ’90 divenne un imprenditore famoso, anche in campo nazionale, nel campo della moda per certe sue riscoperte e rilancio commerciale di vecchie mode di abbigliamento maschile dell’800.
Bepi, il nostro amico-giocatore, trovò pure lui una sua collocazione lanciando con successo, scusate il termine, una impresa di Pompe Funebri che esercita tuttora, probabilmente con l’aiuto di qualche figlio. Quando si dice la predestinazione!..... Vedrete il perché!
Ritornando alla nostra scenetta nel campo di calcio, si poteva vedere a un certo punto che il Bepi infilava l’oggetto col quale aveva attirato la sua attenzione nella sporta di Fido, dandogli quindi una leggera sculacciata per fargli riprendere la corsa. A quella vista i bambini si ritrassero un po’ perplessi, guardandosi gli uni con gli altri e mettendosi a parlottare fittamente finché non venne mezzogiorno e con questa scusa smisero di giocare per ritornare ognuno a casa propria. Anzi per la verità per qualche giorno non giocarono proprio in questo campetto perché chiesero alla Perpetua di poter giocare nell’adiacente spazio che si apriva davanti alla casa del Parroco, che però non era in luogo pubblico come il primo, ma in un luogo protetto e chiuso.
Cos’era accaduto di tanto grave da indurre i bambini quasi a nascondersi?
Per capirlo dobbiamo andare ancora una volta a ritroso nel tempo, e di parecchio - all’incirca nel ‘6/’700.
Avevamo, infatti, visto che il campetto di gioco era praticamente il piazzale antistante la vecchia chiesa di Mirano, ma è noto che nei tempi antichi – nei paesi nordici succede ancora adesso - il cimitero della locale comunità era situato proprio attorno alla chiesa. La costruzione delle fondamenta della cabina elettrica aveva sollevato i resti dei sepolti e l’oggetto con il quale il Bepi aveva prima fermato e quindi messo nella borsa di Fido era sì un osso, ma umano, anzi per la verità era una tibia!

 

 

Paolo Simionato-Venezia